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Parlar chiaro, parlare oscuro

20 dicembre 1977
RSI Radiotelevisione svizzera di lingua italiana

Per il programma televisivo «Questo e altro» andato in onda il 20 dicembre 1977, Giovanni Orelli condusse un dibattito sul tema dei diversi registri linguistici usati nella sfera pubblica e il loro diverso grado di chiarezza. Con lui in studio erano Guglielmo Zucconi, giornalista e deputato alla Camera dei Deputati, Bice Mortara Garavelli, professoressa di Linguistica all’Università di Torino, Giulio Nascimbeni, giornalista del Corriere della Sera, Giuseppe Curonici, critico d’arte, e Giuseppe Buffi, granconsigliere, direttore de «Il Dovere»,

La puntata fu presentata a pagina 5 del settimanale «Radiotivù» in edicola il 17 dicembre 1977 con questo testo verosimilmente scritto da Giovanni Orelli:

La questione del parlar chiaro (dello scrivere in modo chiaro, leggibile), e del suo contrario, è un tema ricorrente. E perché tale non bisogna però lasciarsi prendere dalla tentazione di considerare la questione ovvia, oziosa. Quanto allo scrivere in modo chiaro o no, la polemica è riscoppiata la scorsa estate in Italia, e adesso non sono in pochi a essere lì pronti coi fucili spianati contro il politico, lo scrittore, il giornalista, il critico, ecc.
Da quei metaforici fucili spianati viene fuori, in genere, e molto riduttivamente, questa proposizione: chi scrive difficile e non si fa capire da tutti non è democratico; al contrario è democratico chi scrive chiaro e si fa capire da tutti.
Ma è vero che si scrive (e si parla: alla televisione, alla radio) in modo oscuro? E se sì, come pare, perché? In che cosa consiste lo scrivere chiaro? È una questione di parole? di lessico? (ma allora, perché in un settore come quello sportivo, tutti o quasi capiscono anche e termini più «settoriali»?) Oppure è in giuoco l’organizzazione della frase, la sintassi?
Al dibattito intervengono il politico, il giornalista, lo scrittore, il critico letterario, il critico d’arte. Partendo dalla loro esperienza, da esempi che per pratica quotidiana hanno sotto mano, partendo dai casi che i destinatari della parola parlata o scritta allegano quando formulano la loro protesta, si vorrà vedere in che misura, e come e quando e dove, la lingua è o può essere uno strumento di oppressione. Questo è il tema centrale del dibattito e di lì partiranno i vari distinguo: per esempio tra la lingua dello scrittore (con le sue necessità, anche, se del caso, di rifiutare la cosiddetta lingua d’ uso, quando questa lingua dell’uso è omologa, nel suo procedere di pari passo, alla vita, nel suo farsi sempre più stretta) e la lingua dei giornalisti o la lingua dei partecipanti a un dibattito televisivo, ecc.

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27 agosto 2021
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