Per un ritratto della Svizzera italiana. Come ci vedono i ticinesi d’Oltralpe?
Per un ritratto della Svizzera italiana. Come ci vedono i ticinesi d’Oltralpe?
Curato da Giovanni Orelli, il programma televisivo «Questo e altro» andato in onda il 17 gennaio 1978 fu dedicato alla prima parte di una inchiesta volta a fornire un ritratto della Svizzera italiana a metà degli anni Settanta. Questa prima parte, intitolata «Come ci vedono i ticinesi d’Oltralpe?», era intesa a indagare come i ticinesi trasferitisi nella Svizzera tedesca vedevano e giudicavano chi era rimasto in Ticino. La seconda, andata in onda il 3 marzo 1978, «Come ci vedono i Confederati?»
- Per un ritratto della Svizzera italiana. Come ci vedono i ticinesi d’Oltralpe?
- Per un ritratto della Svizzera italiana. Come ci vedono i Confederati?
Gli emigrati ticinesi a Zurigo intervistati nel servizio di Mario Barino e Caterina Wolf che precede in dibattito qui pubblicato sono: Pier Luigi Roncoroni, Angela Besomi Romerio, Ezio Canonica, Alberto Camenzind, e Franco Barberis.
Ospiti di Giovanni Orelli in studio sono, Delia Castelnuovo, Guido Solari, Franco Cavalli, Giorgio Pastorelli e Marco Mona.
L’inchiesta fu presentata a pagina 3 del settimanale «Radiotivù» in edicola il 14 gennaio 1978 con questo testo verosimilmente scritto da Giovanni Orelli:
Come si trovano i Ticinesi (diciamo Ticinesi e pensiamo, qui e altrove, a gente della Svizzera italiana) al di là delle Alpi? I Ticinesi, vogliamo dire, che in anni passati, scelsero, per necessità o altra ragione vitale, di emigrare (come dovettero fare, per sola necessità, generazioni di nostri antenati, in tutte le parti del mondo). Qual è il rapporto che questi emigrati in patria coltivano con la terra d’origine? Come sono i rapporti con la gente in mezzo alla quale svolgono la loro attività?
Il dibattito sarà preceduto, da un breve filmato che raccoglie alcune dichiarazioni di ticinesi d’Oltralpe. Dalle interviste rileviamo che difficoltà di ambientamento, dove ci sono, sono di varia natura: linguistica per esempio (con situazioni curiose, ibride, in seno alla famiglia, perché nei figli prevale la lingua del gruppo sulla lingua dei genitori), politica (di segno negativo è il timore di essere confusi con gli italiani), sociale (il senso, in taluni, di sradicamento e il conseguente desiderio di ritrovare un gruppo — una possibilità di coagulo è per esempio costituita dalle sezioni della Pro Ticino).
Certo che quando uno emigra e guarda, da lontano o tornandoci per le vacanze, al suo paese d’origine, è probabile che lo guardi con occhio più critico, più distaccato, oppure con una carica in più di nostalgia. Ci si potrebbe chiedere se vale ancora l’antica immagine di Piero Bianconi, per gli emigranti di una volta, secondo cui il ticinese è come i cavoli, che riescono meglio se trapiantati. D’altra parte, gli studenti ticinesi di Zurigo, oggi tornano dalla mamma ogni venerdì sera, e magari già prima…
L’Archivio della memoria di Stabio è nato nel 2010, grazie allo stimolo di un gruppo di appassionati di storia e cultura con lo scopo di raccogliere le testimonianze dei diretti protagonisti della vita quotidiana del paese, prima che si attuasse il turbinio di innovazioni che lo hanno cosὶ profondamente modificato.