Perché la poesia in dialetto?
Perché la poesia in dialetto?
Andata in onda il 22 novembre 1977, nel corso del tempo questa puntata del programma televisivo «Questo e altro» curata da Giovanni Orelli ha acquisito un valore storico per gli studiosi di letteratura del Novecento. Chiamati a dibattere in studio, i poeti Andrea Zanzotto e Franco Loi avevano da poco pubblicato alcune delle loro opere più importanti, mentre Pietro Gibellini e Glauco Sanga si dimostravano essere tra i più sagaci studiosi di quell’espressione poetica che il canone ufficiale della poesia italiana del Novecento aveva deliberatamente lasciato ai margini perché ritenuta «minore». Il 1977 fu l’anno in cui il filologo e critico letterario Pier Vincenzo Mengaldo pubblicò l’antologia «Poeti italiani del Nocevento», dando finalmente dignità di alta poesia a voci come quella di Delio Tessa, o degli stessi Zanzotto e Loi — e certamente il libro di Mengaldo non sfuggì ad Orelli.
La puntata fu presentata a pagina 20 del settimanale «Radiotivù» in edicola il 19 novembre 1977 con questo testo verosimilmente scritto da Giovanni Orelli:
La TSI ha già più volte trattato il problema dei dialetti, del rapporto lingua-dialetto. Il dibattito di questa sera si stacca da quel discorso (ma tenendolo ben presente nello sfondo: tenendo presente in particolare che — per dirla con il poeta Andrea Zanzotto — la lingua nazionale è in pericolo di diventare esangue, amorfa, pidocchiosa di stereotipi e cascami video-burocratici proprio nel momento in cui s’impone). Si stacca per affrontare un tema specifico: la realtà della poesia dialettale. Ma non per sottolineare (lo abbiamo già fatto) che un Carlo Porta «va considerato fianco a fianco con gli scrittori di maggiore statura che, tra la fine del Settecento e i primi vent’anni dell’Ottocento, attuarono in Lombardia il più profondo moto di rinnovamento della cultura, dell’arte e, prima ancora, della vita morale italiana» (così il maggior studioso di queste cose, Dante Isella). Il dibattito si occuperà invece (o soprattutto) della poesia dialettale di oggi. E quale punto di riferimento prenderemo un libro di eccezionale forza: «Filò», scritto in dialetto da uno dei più vitali poeti del nostro tempo: Andrea Zanzotto. Al centro balzerà subito la nozione di dialetto come «vecio parlar che tu à inte’l tò saór / un s’cip de lat de la Eva» (vecchio dialetto che hai nel tuo sapore un gocciolo del latte di Eva). Nozione che rende, per esempio, assolutamente inaccettabile la posizione di un Francesco Chiesa, per il quale «il dialetto smentirebbe la sua natura sostanziale di linguaggio popolare e diventerebbe un gergo ibrido se si sforzasse d’esprimere ciò che può essere pensato solo letterariamente».
L’Archivio della memoria di Stabio è nato nel 2010, grazie allo stimolo di un gruppo di appassionati di storia e cultura con lo scopo di raccogliere le testimonianze dei diretti protagonisti della vita quotidiana del paese, prima che si attuasse il turbinio di innovazioni che lo hanno cosὶ profondamente modificato.