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Ex Filanda

2018
lugano-Gandria
Athena Demenga

La Casa ex Filanda rappresenta per Gandria un interessante elemento architettonico che partecipa, con tutti gli altri edifici sulla riva del lago, a carratterizzare la peculiarità dell’intero villaggio. Giungendo da Lugano, è divenuto il primo edificio testimone dello sviluppo del nucleo, si eleva su tre livelli ed esprime un’orizzontalità accentuata da ampi porticati verticali a lago. Attualmente di proprietà della Parrocchia, che ne affitta gli spazi per l’abitazione privata, ne rispetta l’integrità storica, culturale ed estetica.

L’accesso avviene dunque privatamente dal lago e dal cortiletto su strada pedonale, lo stesso che permette di giungere alla parte inferiore dell’ex Casa Rabaglio, quella che fu abitata dai Taddei. Malgrado l’incertezza della data di realizzazione di questo edificio, mappe e aneddoti ne segnalano l’esistenza a partire dalla metà dell’Ottocento, in concomitanza con la fortunosa seppur breve coltivazione di bachi da seta con i gelsi, che si diffuse e impennò anche l’economia gandriese per alcuni anni.

La bachicoltura esisteva in Svizzera già dal XIII secolo, mentre in Ticino si diffuse, con un buon riscontro economico, verso il XIV secolo. Lo stesso Vigilio Rabaglio, in un breve soggiorno a Gandria durante il suo trentennio trascorso alla corte dei Borboni di Spagna, nel 1748 avviò una bachicoltura che lasciò condurre ai suoi familiari, gesto che testimoniò ampiamente la prima fase della rivoluzione industriale che stava avvenendo nell’Occidente.

Ma fu verso la metà dell’Ottocento, poco prima della rivoluzione francese, che notevoli quantità di prodotto greggio partivano per i mercati di Milano. Nel Sottoceneri ebbe notevole sviluppo anche grazie alla vicina Italia. Generalmente in Ticino la maggior parte della popolazione conduceva vita contadina, e la bachicoltura rappresentava un’attività che permetteva di essere svolta parallelamente, con una circolazione di denaro contante scevro dallo scambio agricolo. A suo modo, rappresentava dunque un certo risveglio dal secolare e forse monotono lavoro rurale.

Dalla breve crisi della rivoluzione francese la bachicoltura del Ticino ne uscì con una netta industrializzazione delle fasi di produzione, permettendo a pochi di essere parte dell’ampio mercato che andava delineandosi, a favore dei mercanti e a scapito dei semplici lavoratori. Fu una riorganizzazione su ampia scala, dove le poche filande rimaste si trasformarono e poterono dare lavoro a tante persone, prima dell’avvento della meccanicizzazione. Complice la stessa natura, ci fu un inverno gelido che decimò gli olivi, favorendo gli investimenti nei gelsi già presenti anche a Gandria e nella relativa bachicoltura, tanto da far avviare l’attività a un Taddei proprio in questo edificio nel 1856, che tuttavia vendette dopo pochi anni.

Il mercato internazionale fu preponderante e la scarsa salubrità dei bachi dirottò il mercato locale, tanto da far optare le filande del Ticino alla chiusura e all’abbandono delle loro bachicolture a inizio Novecento, mentre le sete artificiali e quelle asiatiche pullularono.

Un capitolo illuminante per il quale anche Gandria fu testimone, nel suo piccolo, delle più rilevanti rivoluzioni ed evoluzioni della società, del mercato e dell’intero andamento della rete europea e mondiale dalla fine del Settecento al Novecento.

Quel che resta è un edificio dalle dimensioni considerevoli, dall’architettura caratterizzante, abitato e, una volta di più, affermandone la sua valida conservazione e divenendo notevole spunto di riflessione storicoculturale, ancora poco sondata, per raccontare e per non farsi sfuggire la propria storia e le proprie radici, al di là di documenti, date e numeri.

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Athena Demenga
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19 aprile 2021
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