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Avvicinamento all’arte

Massimina Pesenti
Atte-Museo della Memoria

- Già da piccino facevo … uè uè! -, questa la risposta a un giornalista che voleva sapere da Vittorio quando aveva iniziato a cantare.

Aveva aggiunto: - Ma püsé che vegni vecc, püsé che vegni bon! –

Il suo grande sogno era quello di fare lo scultore, purtroppo il destino volle che lui nascesse in una famiglia povera e la priorità era quella di collaborare per il sostentamento dei genitori e dei fratellini. Non c’era posto per studi artistici, non si poteva perdere tempo a inseguire sogni; serviva il pane da mettere in tavola.

Si rese presto conto di essere dotato per il canto e per la musica e questi erano alla sua portata: poteva cantare e inventarsi testi, poesie e melodie mentre lavorava in cava, senza sprecare né tempo né denaro.

Sviluppò la sua vena artistica, incanalò in particolare nella musica, ma anche nella scrittura e nella pittura, la sua carica emotiva e creativa.

Formazione

Anche qualcun altro si accorse delle sue doti musicali e volle aiutarlo: Giuseppe Martinetti, allora direttore della banda di Osogna, gli regalò una tuba basso, per permettergli di suonare nella banda del paese, dove apprese le basi musicali.

Grazie a questo poté iniziare a tradurre in note e a concretizzare su un pentagramma le melodie delle sue canzoni.

L’accoppiata Vittorio–fisarmonica sembra scontata e invece… sorpresa: in realtà il suo primo strumento fu un bassotuba che, un po’ impolverato è ancora oggi vivo e vegeto (beh … quasi). Evidentemente non era possibile suonare uno strumento a fiato e cantare nello stesso tempo, ma la formazione bandistica gli permise l’avvicinamento, in modo appropriato, al mondo delle sette note, mondo che improntò, anzi fagocitò inesorabilmente tutta la sua vita.

Il binomio Vittorio-“fisa” (“bofett”, come la chiamava lui) arrivò più tardi, quando un amico di Claro gliene prestò una.

Mio zio aveva 19 anni e nel giro di una settimana, da autodidatta, acquisì una discreta sicurezza, riuscendo a suonare e cantare il famoso brano italiano “O sole mio”.

Per non disturbare la famiglia, scelse la stalla come luogo di studio e allenamento.

– Così -, diceva – la mucca fa più latte! -

L’amico di Claro invece, deluso dei tentativi personali di apprendimento, colse l’occasione per sbarazzarsi della “fisa” e gliela vendette per 60 franchi.

Il papà Giuseppe prestò la somma a Vittorio, che piano piano gliela restituì, con i soldi racimolati esibendosi nei ristoranti, nelle piazze dei villaggi della Riviera, in occasione di sagre di paese, di matrimoni e di altre feste.

Dal libro “Vittorio Castelnuovo: una vita tra le note”, Massimina Pesenti, Jam edizioni, 2015

Vai al dossier Vittorio Castelnuovo cliccando qua.

Archivio Museo della Memoria: MDM0459

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20 gennaio 2021
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