Vita quotidiana di paese anni 1960-70
Vita quotidiana di paese anni 1960-70
Sono i ricordi più lontani che mi tornano in mente, e sono i più nitidi, forse perché quando si é bambini si fanno le esperienze in immersione completa, si ingrammano al più profondo, passando dalle sensazioni fisiche, dagli odori, dal tatto, che si nodano con le emozioni.
Ho passato la più gran parte dei fine settimana, e tutte le mie vacanze scolastiche dalla mia madrina Ada e da suo marito Giacomo a Vairano, condividendo con loro la vita quotidiana del paese. La vita di paese era come un luogo di incrocio tra un presente che già sfrecciava verso una certa modernità e un passato già remoto, ma che viveva nelle pratiche e le usanze, sopratutto delle persone di una certa étà. Con i miei genitori abitavo a Muralto, in una palazzina con tutte le comodità, una vita di città ; andare a Vairano era come fare un tuffo nel tempo. Erano due mondi completamante diversi, quasi antagonisti eppure parte tutti i due di una stessa realtà di territorio e di epoca.
Mattino
In paese erano i lavori previsti e la stagione che decidevano del risveglio mattutino, con il sole si può dire, come per le galline.
Quando mi svegliavo, gli adulti, Giacomo e la mia madrina Ada erano già alzati.
Ada aveva già preparato il caffé.
Lo faceva “al pentolino”, metteva 2 cucchiai di caffé e per fare economia uno di cicoria nella caffetiera e li copriva d’acqua bollente. Si aspettava un pò, poi si passava con il colino, e si beveva così, anche se spesso restavano dei piccoli resti sospesi. La colazione la facevo con del pane, ammollito in una “tazzona” di caffé latte zuccherato. Di tanto intanto, con un pò di marmallata sul pane. Il burro fresco c’era di raro in tavola, perché non si conservava.
Per non sprecarlo, Ada lo faceva sciolgliere in un pentolino, poi lo metteva in un vasetto che teneva in cucina, così si conservava bene.
Il latte, lo si andava a prendere alla bottega vicina con il sechiello del latte. É solo verso la metà degli anni 1960 che si é cominciato a commercializzare il latte pastorizzato contenuto nei cartoncini a piramide. Prima si comperava sciolto, poco alla volta, si doveva farlo bollire e poi tenerlo al fresco, perché altrimenti si guastava. Per molti anni, Ada come molta gente di paese, ha fatto a meno del frigorifero. Le cose che si dovevano conservare nel fresco si mettevano in cantina in un armadietto fatto di una ramina fine, si teneva lì, il formaggio, e i salumi, tutto ciò che oggi mettiamo nel frigorifero.
Molte cose, che oggi ci sembrano indispensabili, non esistevano. Quelle che esistevano erano molto costose, sia all’aquisto, sia per l’impiego, perché ci voleva l’eletricità per farle funzionare. É solo dopo la métà degli anni 1970 che Ada, come altre persone, ha avuto un frigorifero, il telefono e la televisione.
In paese poche persone avevano il telefono, era collocato con un contatore, a volte anche a monete. Bisognava mettere 20 centesimi e premere un pulsante, poi si poteva fare il numero. Ada se aveva bisogno di telefonare, andava sia nella bottega vicina, tenuta dal signor Domenighetti, sia dallla signora Angela Vanolli che lavorava con il Giacomo e che abitava più in sù nel paese. Il signor Domenighetti e Angela si incaricavano volentieri di trasmettere i messagi di eventuali telefonate ricevute per Ada e Giacomo.
Compiti
Come gli adulti, la mattina avevo anch’io i miei lavori da fare:
La mattina e la sera andavo ad aprire e chiudere il pollaio, e a raccogliere le uova.
Andavo a raccogliere l’erba per i conigli, davo loro da mangiare e da bere.
Riempivo le catinelle dell’acqua per le galline e le anatre, con due o tre viaggi di secchi d’acqua, gli davo il “pastone” che Ada aveva preparato la sera prima in un pentolone dedico. (Non si gettava niente, i piccoli resti dei pasti, i resti di verdura, di frutta, le conchiglie delle uova andavano nel pastone delle galline.)
Strappavo le erbacce nel giardino.
Scopavo, lavavo il pavimento, annafiavo i fiori.
D’inverno andavo a prendere la legna per la stufa che era in cucina e per il camino.
Tutti questi piccoli lavori, che potevo fare, erano tempo guadagnato per Ada che come tutte le donne di casa aveva sempre tanto da fare, era qualche cosa di normale che i bambini aiutassero per i lavori. Di più, mi faceva sentire utile e queste esperienze concrete mi sono servite più tardi nella vita. Il pomeriggio potevo andare un pò a giocare con le mie amichette del paese. Giocavamo alla corda da saltare, all’elastico, al fazzoletto, alla bottega, alle bambole oppure alla palla che si faceva ribaltare su di un muro. D’inverno quando c’era la neve si andava a slittare su piccoli pendii.
I lavori delle donne
Per cucinare Ada adoperava la stufa elettrica, ma solo una parte dell’anno, quando cominciava a fare più freddo, adoperava la stufa a legna, che serviva anche a riscaldare un pò la casa perché non c’era il riscaldamento. Nella brutta stagione si scaldava anche con il camino, e la stufa a nafta che era nel corridoio.
Il bucato si faceva a mano, quasi tutte le settimane si lavava la biancheria intima, e i
fazzoletti di stoffa, dopo che la biancheria era stata ammorbidita dell’acqua calda insaponata, si sfregavano i capi sull’asse di lavanderia e si risciacquava il tutto nell’acqua fredda, si stendeva poi su dei fili di ferro disposti vicino alla casa per farli asciugare. Le lenzuola, e i vestiti di lavoro si lavavano meno di spesso. Era un lavoro lungo e faticoso. D’inverno i capi stesi fuori, gelavano e ci voleva un tempo infinito per farli asciugare, si finiva di asciugarli sul dorso di una sedia davanti al camino o davanti alla stufa a nafta. Per fortuna con il passare degli anni Ada ha potuto dare le lenzuola da lavare a qualcuno del paese che aveva la lavatrice. La biancheria, si cercava di farla durare, non si lava di spesso. Gli abiti costavano caro, e come quasi tutte le donne e le bambine, Ada metteva sempre un grembiule sopra gli abiti per proteggerli. C’erano gli abiti di tutti i giorni, già un pò usati, e quelli della festa, che si mettevano solo per andare a messa, oppure se si andava da qualche parte, in città, dal dottore, o in qualche mercato.
Ada da giovane, aveva potuto imparare il mestiere di sarta. Aveva una macchina da cucire a pedali “Pfaff” un bene prezioso di cui si aveva molta cura. La adoperava per fare i suoi vestiti, a volte anche qualche bel vestitino per mé, e i rammendi sui vestiti dà lavoro del Giacomo. Mi ha insegnato a cucire sia a mano, sia con la macchina da cucire.
Tante altre competenze indispensabili per occuparsi della casa le ho aquisite con lei, in immersione si può dire, cucinare, rammendare, stirare, lavare, pulire, così come avere cura delle cose, non sprecare, fare economia. I soldi erano scarsi, gli operai come Giacomo guadagnavano poco. Fare economia era indispensabile, tutte le spese erano valutate, non si sprecava niente. Per esempio, si mettevano da parte per un uso ulteriore le corde, anche piccoli pezzetti che si potevano poi adoperare in giardino per allacciare le piante, tutti i sacchetti di carta, o di plastica. Anche i vecchi giornali servivano per molte cose, tagliati a pezzetti come carta del gabinetto, per accandere il fuoco, per isolare, foderare, d’inverno servivano bagnati per imballare le brichette di carbone che tenevano così il fuoco dormente fino alla mattina, perfino la carta dorata del cioccolato la si metteva da parte per spedire alle missioni.
I lavori degli uomini
Ho sopratutto visto quello di Giacomo, che era operaio agricolo. Lavoro duro, fisico, pagato poco, con pochi mezzi meccanici, tutto a mano, a spalle, a fatica. Come gli altri uomini, aveva la responsabilità di guadagnare di ché fare vivere la famiglia e lo ha sempre fatto con molto coraggio malgrado il fatto che fosse andicapato di una gamba. Giacomo aveva anche il compito di uccidere i conigli e le galline che erano quasi i nostri soli fornitori di carne. Dare la morte é un gesto difficile da fare per chi ha una certa sensibilità, si deve esssere rapidi e precisi per evitare sofferenze inutili, lo sapeva fare bene, ma si vederva che lo faceva per obbligo, con rammarico. Con il passare degli anni come sulla corteccia di un albero si potevano leggere le cicatrici lasciate dalle ferite di una vita dura, anche quelle dell’ingiustizia del disprezzo, verso la gente come lui povera di mezzi e di cultura, un disprezzo che ha ferito molti uomini, che non hanno potuto istruirsi.
Viaggi e mezzi di trasporto
Per andare da un paese all’altro si andava molto a piedi, per abitudine, ma anche per risparmio. Il più spesso sù e giù dai sentieri, altre volte si passava dalla strada grande, con un pò di fortuna capitava che una qualche conoscenza del paese, che aveva la macchina proponeva un passaggio.
L’autopostale passava diverse volte al giorno, ma si prendeva solo per andare a Locarno.
Quando si doveva andare a prendere il treno o il battello, per andare da qualche parte, si scendeva fino a San Nazzaro oppure a Gerra.
Con Ada andavamo ogni tanto in Italia fino a Maccagno da una sua parente che faceva da parucchiera, o al mercato di Luino per certe compere, che costavano molto meno.
La più grande escursione, era di andare fino al mercato di Cannobbio, si partiva la domenica mattina presto per andare a prendere il battello. Arrivando a Cannobbio, per prima cosa si andava sempre a dare un saluto alla Madonna nella chiesa vicino al debarcadero. Poi tra incontri, a volte con dei parenti del Giacomo, pasti e compere, la giornata passava veloce, si rientrava solo verso la fine pomeriggio. Arrivati a Gerra oppure a San Nazzaro, c’era ancora tutta la salita de fare, per Ada e Giacomo che avevano già una certa età, era molto faticoso. Quando era possibile, si mettevano d’accordo con qualcuno che aveva la macchina, per farsi condurre fino a casa.
Piaceri e svago
Radio Monteceneri era la finestrella soleggiata che ci accompagnava una parte della giornata.
La musica popolare, le canzoni a successo, il momento del giardiniere e i suoi consigli, la lettura dei romanzi a puntate che ci teneva fiato sospeso fino al prossimo episodio, il teatro dialettale, il notiziario, sgranavano gradevolmente lo scorrerre delle ore.
La domanica era giorno di riposo, benvenuto, necessario, ma anche obbligato dalle regole religiose che tutta la comunità seguiva con più o meno applicazione. La mattina c’era la messa, poi, se c’erano delle feste particolari, si andava a vespri nel pomeriggio fino giù a San Nazzaro. Nelle belle giornate, si andava a volte fino a Piazzogna, a piedi, dalla zia dell’Ada o all’osteria, dove gli uomini giocavano alle boccie. Ogni tanto si andava anche al ristorante del paese “Miralago” tenuto dalla famiglia Gaia. C’era sempre gente, sia per giocare a carte, sia, alla sera per andare a vedere la televisione. Sotto il portico davanti all’entrata c’erano anche un “Flipper” e un “Jukebox”, che attiravano i giovani. Il ristorante era sopratutto frequentato dalla gente del paese, ma certe sere d’estate, anche da molti forestieri che erano in vacanza, tutti attirati dal ballo animato da una piccola orchestra, sul terrazzo davanti al ristorante. Luogo d’incontro improbabile fra due mondi completamente diversi. Il mondo della gente di paese, fatto di fatiche, di vita dura, di pochi mezzi, di pratiche sociali e religiose assai rigide, e il mondo dei “forestieri” abbagliati dal miraggio di un immagine fiabesca del Ticino, che ostentavano una vita agievole, gioiosa e spensierata.
Ero una bambina, ma ho setito profondamante le ambivalenze di sentimenti che suscitavano questi confronti. Li sentivo nei commenti degli adulti, ma anche in me stessa. D’una parte la realtà vissuta, dura, difficile, la vita laboriosa che occupava le nostre giornate, ricca delle radici che ci legavano alla terra, alle tradizioni, ma superstiti di un mondo che stava scomparendo, e d’altra parte l’apertura verso altri modi di vivere che i turisti ci davano da vedere, dando esempio e voglia di una vita più agevole, più leggera, più libera. I turisti sono stati un pò l’incarnazione, i vettori di una certa modernità. Il loro arrivo in massa negli anni 1960-70 ha cambiato velocemente, in modo radicale e per sempre la vita di tutti gli abitanti. Questo cambiamento radicale sul giro di qualche anno, ha lasciato un vuoto, ha lasciato come un sentimento di irremediabile perdita di un mondo conosciuto, famigliare, rassicurante, e nutrito una certa malinconia per un passato magnificato.
Ciò che mi resta degli anni passati a Vairano, mi fà dire che l’essenziale resta, resiste al tempo e ai cambiamenti. Non dipende dalle cose materiali, é una forza invisibile che traversa le contingenze, quelli che ci hanno fatto crescere l’hanno coltivata, fatta vivere e ce l’anno trasmessa con l’esempio, perché non hanno mai rinunciato a rialzarsi, malgrado le difficoltà della vita.
L’Archivio della memoria di Stabio è nato nel 2010, grazie allo stimolo di un gruppo di appassionati di storia e cultura con lo scopo di raccogliere le testimonianze dei diretti protagonisti della vita quotidiana del paese, prima che si attuasse il turbinio di innovazioni che lo hanno cosὶ profondamente modificato.