Presenze ticinesi nel Terzo Mondo: col fagiolo alato fra i baulé della Costa d’Avorio
Presenze ticinesi nel Terzo Mondo: col fagiolo alato fra i baulé della Costa d’Avorio
Curato da Loris Fedele e Fabio Bonetti, «Presenze ticinesi nel Terzo Mondo» fu in ciclo di tre trasmissioni andate in onda nei primi mesi del 1981 dedicato a figure di ticinesi impegnati in programmi di aiuto allo sviluppo.
Girata in Costa d’Avorio, questa prima puntata andò in ona il 13 aprile 1981. È dedicata all’introduzione nella dieta indigena di un tipo di fagiolo ricco di proteine, carenti nella dieta abituale nei villaggi Baulé.
Gli intervistati sono: Gian Paolo Ravelli: medico nutrizionista ticinese; George Kouassi N’zi: dietologo; Gertrude Christel-Meyer: analista; Ladj Diaby: ingegnere agronomo;
A pagina3 del settimanale «Teleradio7» in edicola per la settimana dall’11 al 17 aprile 1981 si leggeva la presentazione dell’intero ciclo curato da Loris Fedele e Fabio Bonetti:
L’aiuto ai Paesi in via di sviluppo è un imperativo dei nostri tempi. La volontà, almeno quella espressa a parola, dei paesi industrializzati è di collaborare al riscatto del Terzo Mondo dalla povertà di massa e dalla sudditanza economica. Senza pressioni o forzature però, nel rispetto di quanto si legge tra l’altro nell’atto finale di Helsinki (concluso nel 1975 dalla Conferenza per la sicurezza e la cooperazione europea) e cioè che va sempre salvaguardato il principio di «uguaglianza dei diritti e autodeterminazione dei popoli».
Il discorso sul Terzo Mondo non è facile, poiché al suo sviluppo sono legati interessi economici e politici enormi. Ogni azione intrapresa dai cosiddetti paesi ricchi può nascondere un secondo fine o implicare — direttamente o indirettamente — conseguenze di varia natura che possono creare una situazione di sudditanza psicologica e persino reale. Tuttavia l’aiuto va dato, possibilmente nella forma migliore, e quindi nessun paese sviluppato si sottrae a questa esigenza.
La Svizzera è spesso accusata di non fare abbastanza. La nostra modesta esperienza ci consente di non essere del tutto d’accordo con questa affermazione. Si può fare di più questo è vero; ma, probabilmente, quanto è stato fatto finora appare poco soprattutto perché, secondo la proverbiale prudenza svizzera, non si vuole sprecare l’aiuto. Agli svizzeri non importa far vedere che la cifra X è stata donata al tal paese, importa che la cifra Y, magari anche modesta, sia stata stanziata per uno scopo preciso e sia stata effettivamente impiegata per ciò che si voleva. È la filosofia di chi, per fare un esempio, di fronte a un terremoto nel paese vicino, non manda 2 milioni i franchi al governo amico perché li impieghi come crede, ma si reca sul posto con tecnici e baracche a montare per l’importo totale, magari, di 1 milione. Nell’arida statistica figura un contributo dimezzato; ma all’atto pratico quel milione è stato tutto impiegato e probabilmente nel modo più efficace.
Questo atteggiamento e questa procedura possono essere tacciati di presunzione e di malfidenza, ma non possiamo dire che siano del tutto negativi. Per verificare e mostrare alcuni contributi portati direttamente in paesi del Terzo Mono, la nostra televisione si è recata nella Costa d’Avorio e nel Perù dove esistono programmi di aiuto guidati da ticinesi. Abbiamo così potuto cogliere dalla loro testimonianza alcuni aspetti del difficile compito al quale sono chiamati i paesi industrializzati.
Recentemente l’ONU ha pubblicato un rapporto sulla strategia internazionale nei riguardi dello sviluppo per il prossimo decennio: nel dicembre 1980 il nostro Consiglio Federale ha diffuso in merito questa dichiarazione: «Il Consiglio Federale si rallegra del lancio, da parte delle Nazioni Unite, di una strategia internazionale dello sviluppo per il terzo decennio dell’ONU. Dopo aver partecipato alla sua preparazione, la Svizzera desidera associarsi a questa strategia, che costituisce il quadro di referenza della cooperazione internazionale per lo sviluppo economico e sociale dei paesi del Terzo Mondo durante gli anni ‘80.
L’interdipendenza esistente fra tutti i paesi del mondo fa del rafforzamento della cooperazione allo sviluppo un compito prioritario dell’insieme della comunità internazionale. Le autorità svizzere sottoscrivono gli orientamenti generali della strategia internazionale per il terzo decennio dello sviluppo, orientamenti che si ispirano agli stessi principi seguiti dalla Svizzera nella sua politica di aiuto tecnico e umanitario, principi che furono annunciati nelle linee direttive per la legislatura 1979-1983.
La Svizzera si ripromette innanzitutto di compiere uno sforzo particolare in favore delle popolazioni più sfavorite». La sostanza di tutta questa dichiarazione è che si vuole intensificare l’azione di aiuto allo sviluppo e quindi il Governo chiede di poter aumentare il contributo finanziario svizzero per questo scopo. L’obiettivo evidente è quello di mostrare alle altre nazioni che la cifra stanziata dalla Svizzera è aumentata. I programmi di assistenza promossi dagli svizzeri sono comunque in corso da molto tempo.
La prima tappa del nostro viaggio è stata la Costa d’Avorio, un paese singolare, dallo sviluppo frenetico e un poco caotico, indipendente dal 1960. È il paese del boom africano legato alle ricchezze agricole da esportare. I suoi «cash crops», i prodotti per realizzare un guadagno immediato, si chiamano cacao, caffè, legname, ananas e banane.
La sua economia è essenzialmente agricola e legata ai capricci del mercato internazionale. Solo di recente è stato scoperto il petrolio, al largo della costa; il suo sfruttamento futuro potrebbe costituire un’ancora di salvezza per questo paese che, dopo vent’anni di crescita frenetica, si trova oggi in fase regressiva e di fronte a molte difficoltà. Il contributo svizzero che abbiamo seguito è stato promosso dalla Fondazione Nestlé, un’emanazione indipendente dalla casa madre. Un gruppo misto di ricercatori svizzeri e ivoriani ha sviluppato una ricerca diretta a migliorare l’apporto di proteine nell’alimentazione della popolazione. Il risultato verrebbe conseguito con l’aiuto di una leguminosa originale della Nuova Guinea: il fagiolo alato (psofocarpus tetragonolobus).
Accanto alle attività agronomiche si è sviluppato uno studio epidemiologico sulla nutrizione della popolazione, in particolare tra i bambini. A capo di questa sezione del programma, che ha terminato lo studio con la fine del 1980, si trovava il dottor Giampaolo Ravelli di Locarno. Egli ci ha fatto da guida alla scoperta del fagiolo alato tra i Baulé della Costa d’Avorio.
L’Archivio della memoria di Stabio è nato nel 2010, grazie allo stimolo di un gruppo di appassionati di storia e cultura con lo scopo di raccogliere le testimonianze dei diretti protagonisti della vita quotidiana del paese, prima che si attuasse il turbinio di innovazioni che lo hanno cosὶ profondamente modificato.