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Gli ottant’anni di Piero Bianconi

30 maggio 1979
RSI Radiotelevisione svizzera di lingua italiana

In questo documento audio abbiamo raccolto le due parti della lunga intervista che Eros Bellinelli fece a Piero Bianconi in occasione degli ottant’anni di questi. Intitolata «Gli ottant’anni di Piero Bianconi», l’intervista andò in onda il 30 maggio e il 6 giugno 1979 nella rubrica radiofonica «Grandi cicli». Per comodità di fruizione, le due parti sono state qui pubblicate senza soluzione di continuità, sebbene – dopo la prima mezz’ora – sia ben intelligibile l’inizio della seconda parte.

La prima parte è dedicata alla vita di Piero Bianconi, giunto a compiere ottant’anni. Ripercorrendo le sue origini vallerani, lo scrittore ricorda la rapidità dei cambiamenti succeduta al crollo brutale delle tradizioni. Se la povertà comportava il senso di fratellanza, il sopraggiunto ombrello assicurativo coltivava l’egoismo.

Nell’intervista Bianconi dichiara di non apprezzare la politica, che favorisce solo divisioni, mentre del lungo periodo d’insegnamento si rammarica un po’ della sua poca espansività. Lo scrittore ha sempre dato peso al dovere dell’uomo intelligente, non a ceto sociale, ecc.

Il lavoro di facchino a Locarno l’ha impegnato dai 12-13 fino ai 22 anni, poi — ripresi gli studi prima alla Magistrale e poi a Friborgo — ha insegnato in varie scuole ed è diventato scrittore.

La pratica giornaliera della scrittura è indispensabile, e rimpiange la mancanza di un diario personale. Ha fatto suo il motto di Leopardi «Il sentimento ha da essere l’anima e non la materia del discorso» e Albero genealogico (pubblicato nel 1969 da Pantarei, la casa editrice di Eros Bellinelli) è la storia di Mergoscia e della sua famiglia — libro dove esprime il suo essere vallerano sopracenerino.

Piero Bianconi — racconta — ha sposato l’airolese Cecilia, e considera i giovani di oggi meno fortunati di ieri perché esporti a un ventaglio di scelte troppo esteso. Non si sente un retrogrado anche se non ha mai guidato un’auto, ma usa solo un Velosolex. Appartiene alla generazione del «5 centesimi», dice — ed è fedele da sempre alla giusta misura per ogni cosa.

Alla prima parte di circa mezz’ora, se succede una seconda altrettanto lunga — dedicata ai libri.

Si distinguono due momenti significativi nella scrittura di Bianconi rappresentati da Croci e rascane (1943) e Albero genealogico (1969), accanto a libri di «routine prosastica» — egli dice — e scritti diversi di argomento artistico.

Scopritore di un Ticino inedito, l’originalità dello scrittore sta nel ritorno alla didascalia, ricreando l’occasione a partire e dal gioco degli specchi. Piero Bianconi viene considerato «scrittore d’occasione», la cui autenticità si ritrova nel ritratto morale del suo paese. Per lui si ricordano l’esperienza fiorentina e i modelli di Antonio Baldini ed Emilio Cecchi, che insieme a Pascoli (al quale Bianconi dedicò la tesi di laurea) lo spinsero verso il mondo rustico e alpestre. Ciò nondimeno lo si può confrontare solo in parte con Giuseppe Zoppi (l’autore de Il libro dell’alpe), o con Francesco Chiesa, che puntava l’occhio critico al Ticino svolgendo poi un’amara analisi.

Non lo stile, ma scelte di contenuti invece sono i primi travagli dello scrittore che opera una reazione culturale di fronte alla materia: arte popolare, vallerani e religiosità, vita primordiale. Sono briciole di realtà, di realismo magico, risalente alla realtà ottocentesca, alle radici. Tuttavia non si tratta è un repertorio poeticizzato, osservato da un punto di vista di «bellavista» o «Kulm». La geografia di Bianconi scopre nel «pollaio ticinese» una regione storica e una regione letteraria, mostrando la sua profonda empatia per l’umanità del paese.

L’ultima parte dell’intervista è dedicata al periodo storico-artistico, nel quale l’interesse per l’arte vallerana prende il sopravvento. È Albero genealogico il libro che rende meglio l’umanesimo bianconiano, testimonianza di pietà e fatica dell’esistenza.

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11 gennaio 2024
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