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Storia della bonifica del piano di Magadino

19 maggio 1992
RSI Radiotelevisione svizzera di lingua italiana

Probabilmente, le due opere novecentesche che mutarono più profondamente il territorio del Canton Ticino furono la bonifica del piano di Magadino nella prima parte del secolo, e la costruzione dell’autostrada nella seconda.

Questo servizio di Riccardo Franciolla andò in onda il 19 maggio 1992 nel programma televisivo «Il quotidiano in trasferta». Si tratta di una intervista allo storico Raffaello Ceschi dedicata alla bonifica del piano di Magadino.

Il piano di Magadino fu una zona di transito importante fino a metà dell’Ottocento perché i flussi commerciali tra nord e sud attraverso il passo del San Gottardo venivano indirizzati prevalentemente lungo il lago Maggiore. Questa situazione mutò con la costruzione del ponte-diga tra Melide e Bissone (1844-47) e l’apertura della linea ferroviaria del San Gottardo (1882), il cui tracciato principale passava a lato del piano.

Approvati nel 1885, i lavori di correzione del fiume Ticino iniziarono nel 1888 e proseguirono, con interruzioni, fino alla seconda metà del XX sec. Le opere di arginatura permisero anche l’avvio di lavori di bonifica, effettuati in quattro tappe principali (1918-21, 1929-42, 1942-55, 1956-61), che resero coltivabili gran parte dei terreni alluvionali.

Con l’aiuto di inserti documentari d’epoca e con filmati girati nella metà del secolo scorso, Raffaello Ceschi ripercorre rapidamente la storia della bonifica.

Sul progetto di Carlo Cattaneo rifiutato dal Canton Ticino è disponibile online il saggio di Buno Caizzi intitolato «Bonifica del piano di Magadino e ferrovie. Progetti ed attese» scritto per il numero 94 della rivista «Scuola ticinese» uscito nel novembre 1981.

Ne riproduciamo degli estratti:

[…] Il Piano di Magadino – a intenderlo dalle porte di Bellinzona fino al Verbano – era frazionato in un numero elevatissimo di piccoli appezzamenti censuari, intestati a proprietari che, quando anche avessero avuto la volontà e i mezzi per gettarsi a un lavoro costoso di idrovore, non avrebbero potuto farlo senza la collaborazione e il concorso di molti altri, forse discordi, possidenti. E quella che pareva una pianura destinata per vocazione ad un’agricoltura prospera e ad intensa demografia, appariva nella realtà ridotta a plaga di faticoso alleva-mento, desolata e insalubre. La rada popolazione vi campava miseramente e in degradate condizioni sanitarie, come Franscini aveva denunciato in un’inchiesta del 1841.

[…] Nessun lavoro era ancora avviato all’inizio nel 1851, allorché Carlo Cattaneo inoltrava al Consiglio di Stato una lettera che riapriva arditamente il dibattito. «Alcuni agronomi milanesi e lodigiani, avvenendo loro per traffico di bestiame e altre circostanze di per-correre il Piano di Magadino e vedere lo stato d’abbandono in cui giace, sono concorsi fra loro nell’opinione che si potesse con pubblico e privato vantaggio promuoverne il generale dissodamento, ad esempio di ciò che venne intrapreso nel. piano di Sondrio, in quello di Colico, nelle paludi di Brondolo e nel basso Panàro». Non erano questa volta semplici esortazioni. Cattaneo stava infatti meditando su una completa proposta tecnica ed economica da sottoporre ai politici. Con il consenso e l’assistenza del Consiglio di Stato, un gruppo di finanziatori e tecnici milanesi, costituitisi, secondo l’uso dei tempi, in Società promotrice con l’intento di assumersi l’impresa, aveva inviato nel Piano due ingegneri incaricati di esplorarlo, fare le livellazioni e ogni necessaria ricognizione giuridica ed economica. Cattaneo, ch’era poi la mente della Società, ne seguiva i lavori, da lui rifusi e integrati in quel primo rapporto alle autorità, del 16 novembre 1851, che riassumeva e chiariva in ogni suo aspetto il progetto industriale.

[…] Premessa ad ogni intervento per ridare la vita al Piano era la rimozione delle vetuste servitù che pesavano ancora sulla libera proprietà. Se la legge 5 giugno 1845 aveva già fatto un passo in avanti abolendo la «trasa generale», ch’era il diritto di pascolo esteso persino sui fondi seminati e vignati, Cattaneo suggeriva che la legislazione procedesse oltre, conferendo al proprietario, non soltanto il diritto di redimersi, ma addirittura il perentorio dovere. Un’altra legge del 7 febbraio 1849 aveva di-sposto a sua volta che i proprietari delle acque soggette a devastazione potessero venire espropriati dei loro fondi e costretti ad entrare in un consorzio per l’esecuzione unitaria di lavori comuni e indivisibili. A questo proposito Cattaneo, prevenendo l’obiezione che troppi proprietari si sarebbero dichiarati non in grado di contribuire per la propria quota al finanziamento globale della bonifica, aveva preveduto la partecipazione del capitale privato all’impresa. […] Il progetto parve raccogliere subito autorevoli consensi.

[…] E tuttavia il Gran Consiglio decise invece di chiedere al Consiglio di Stato una relazione tecnicamente più elaborata, e di rinviare la propria decisione ad un altro momento per conformarla alle disposizioni della nuova legge sulle arginature, testé votata. In realtà parecchi proprietari, nel timore di perdere quel poco che avevano, s’erano mostrati contrari all’intero progetto, e il concetto di espropriazione per ragioni di pubblica utilità riusciva nuovo e ancora inviso a molti. […]

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20 febbraio 2020
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