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La scuola pubblica in Ticino nell’Ottocento

18 novembre 1979
RSI Radiotelevisione svizzera di lingua italiana

Promossa dallo storico Raffaello Ceschi, nel novembre del 1979 Bellinzona ospitò una mostra documentaria intitolata «La scuola pubblica in Ticino nell’Ottocento» realizzata dagli studenti di terza del liceo economico e sociale della città.

Questo servizio di Mario Realini andò in onda il 18 novembre 1979 nel programma televisivo «Il Regionale».

Quali furono, sinteticamente, le caratteristiche salienti della scuola ticinese nell’Ottocento si apprendono da un testo, scritto da Raffaello Ceschi in occasione di una serata pubblica svoltasi a Locarno il 15 dicembre 1997, reso pubblico dall’Associazione per la scuola pubblica del cantone e dei comuni in Ticino nel suo sito web.

Ne trascriviamo una parte:

Nel Ticino la scuola pubblica fu fondata nel 1804, rifondata nel 1831, con l’avvento della costituzione liberale, dopo un ventennio di effettiva incuria, per rispondere a numerose richieste giunte dai comuni, e fu messa progressivamente in esercizio a partire dal 1837.

Il progetto della scuola pubblica si confrontava con l’eredità del passato che, pur non essendo né misera né scadente, si era rivelata incapace di offrire a tutti l’istruzione.

Nella Svizzera italiana era maturata assai precocemente una piuttosto forte domanda di istruzione, diffusa in tutte le regioni: era determinata dai bisogni dei migranti, dalle esigenze dell’autogoverno nelle comunità, dalla necessità di dirigere a distanza l’economia domestica, di governare le aziende familiari e in generale dalla progressiva transizione delle società europee dall’oralità alla scrittura.

Le risposte alla domanda di istruzione erano molteplici e c’erano scuole di ogni genere, diffuse su tutto il territorio. Si posso distinguere due grandi categorie.

Esistevano scuole informali, gratuite, fatte per carità dal parroco, o da qualche laico, uomo o donna. Molto spesso erano scuole irregolari, saltuarie, precarie, e fornitrici di prestazioni ridotte.

Esistevano scuole contrattuali, formali, dipendenti da un patto, da un vero contratto tra chi domandava e chi impartiva istruzione.

Le scuole formali potevano essere private, quando per esempio un gruppo di genitori chiedeva a un maestro di istruire i propri figli pattuendone le condizioni e la mercede. Potevano essere di corporazione, compagnia, quando un gruppo professionale associato, una confraternita di migranti, raccoglievano i mezzi finanziari per erigere una scuola destinata ai ragazzi del comune, a volte senza alcuna distinzione, a volte anche gratuita per tutti. Nella maggior parte dei casi erano però comunitarie, volute da una intera comunità, per decisione dell’assemblea di vicinanza, che concludeva poi con il parroco (oppure con un cappellano) un contratto affinché impartisse nei modi desiderati (e potevano essere diversi) l’istruzione alla gioventù.

Il sistema si fondava sul primato della domanda d’istruzione. Però la domanda di istruzione era differenziata, selettiva, e spesso anche discriminatoria ed esclusiva, e a queste circostanze si adeguava l’offerta.

In generale si chiedeva la scuola solo per i maschi, solo per i vicini (nell’Ottocento ribattezzati poi patrizi), si pretendevano dai maestri prestazioni assai variabili, spesso ridotte al solo insegnamento della lettura e della scrittura, a volte ampliate al calcolo, alla grammatica, cioè ai primi rudimenti del latino, a nozioni di disegno (geometria).

Quali fossero le condizioni dell’istruzione prima che cominciasse a funzionare la scuola pubblica, lo indicano le inchieste promosse in parallelo alle prime leggi scolastiche. I dati sono incompleti e le informazioni lacunose, ma per esempio nel 1831 un terzo dei 120 comuni di cui abbiamo la risposta o era privo di scuola o ne aveva di tanto labili e irregolari da risultare pochissimo efficaci, solo un terzo dei comuni indicava che la scuola era aperta anche alle femmine, e solo poco più di un terzo erano le scuole completamente gratuite (salvo ovviamente la spesa per quaderni e libri di lettura).

La scuola pubblica si prefiggeva invece di stabilire il primato dell’offerta di istruzione e di ottenere:

  • che l’istruzione raggiungesse tutti, senza discriminazioni tra patrizi e semplici abitanti, maschi e femmine, ricchi e poveri, fanciulli giudicati svegli o tardi;
  • che l’offerta di istruzione fosse completa nelle materie elementari;
  • che la scuola fosse efficiente, frequentata in modo regolare, di durata sufficiente;
  • che gli insegnanti fossero qualificati, formati nei metodi pedagogici moderni.

Il nuovo governo liberale del Cantone promuove una transizione progressiva dal vecchio al nuovo sistema, ma nella prima metà dell’Ottocento lo Stato non si propone affatto di escludere la religione dalla scuola, o il clero dall’insegnamento. E non si può certo parlare di contrapposizione tra la scuola dello Stato e quella della Chiesa, anche perché la maggior parte delle scuole ereditate dal passato sono di fatto scuole dei comuni, quindi a modo loro pubbliche, il problema è semmai che spesso non sono veramente aperte a tutti.

Lo Stato non esclude gli ecclesiastici dalla scuola, ha bisogno del loro aiuto, ma chiede loro due cose: che aderiscano al progetto dell’incivilimento e che siano disponibili ad adottare i metodi pedagogici moderni, e a riqualificarsi attraverso i corsi di metodica. Proprio su questi punti sorgono infatti le prime resistenze, e ne conseguono le prime defezioni. Così, se gli ecclesiastici sono il doppio dei maestri laici ancora nel 1841, già sono ridotti a un quarto del corpo insegnante nel 1850. Ma nel frattempo sono cresciute le reciproche diffidenze: dalla metà del secolo il corpo insegnante si laicizza progressivamente e nello stesso tempo aumenta la presenza femminile. Ed è difficile immaginare che le maestre sarebbero state disposte a prestarsi come strumenti di una eventuale educazione anticlericale.

È del resto significativo che proprio il regime liberale radicale, quando nel 1842 introduce una legge sulla vigilanza nelle scuole, affidi questa delicata funzione con ampia prevalenza agli ecclesiastici. La legge assegna 15 circondari scolastici a 15 ispettori, e gli ispettori eletti dal governo sono quasi tutti ecclesiastici: 13 nel 1845, ancora 9 nel 1850.

La scuola pubblica si qualifica con la nozione dell’obbligo scolastico e con quella complementare della gratuità della frequenza.

Nel Ticino l’edificazione della scuola pubblica è sancita formalmente, in questo suo requisito essenziale, dalla legge scolastica del 1864 che per prima definisce in modo chiaro l’estensione e la durata dell’obbligo scolastico (art. 49): “Alla scuola comunale devono intervenire tutti gl’individui dell’uno e dell’altro sesso dai 6 ai 14 anni compiti”, con l’aggiunta che “ I’ Non potranno però abbandonare la scuola quegli allievi che al 140 anno non abbiano una sufficiente cognizione delle materie elementari minori”.

E all’art. 125 precisa che “Ogni comune avrà una scuola elementare minore per i fanciulli d’ambedue i sessi, aperta ad eguali condizioni per tutte le famiglie degli abitanti in esso comune senza distinzione”.

La sovranità dello Stato cantonale in materia scolastica è stabilita poi dalla Costituzione federale nel 1874, che all’articolo 27 dice:

“I cantoni provvedono per una istruzione primaria sufficiente, la quale deve essere esclusivamente sotto la direzione del potere civile. La medesima è obbligatoria e nelle scuole pubbliche gratuita.

Le scuole pubbliche devono poter essere frequentate dagli attinenti di tutte le confessioni senza pregiudizio della loro libertà di credenza e di coscienza”

E una disposizione transitoria precisa, rivelando un punto dolente, che “per introdurre la gratuità della pubblica istruzione primaria è lasciato ai Cantoni un termine di cinque anni”.

Segue poi nel 1882 il tentativo di istituire un organo federale di vigilanza con l’istituzione del “segretario federale per l’insegnamento”, che, subito bollato come il “balivo scolastico federale”, viene infine travolto da un referendum e dalla successiva votazione, la quale non lascia scampo all’ingerenza federale nel recinto dell’istruzione elementare. Ma dal 1875 gli esami pedagogici federali delle reclute introducono direttamente una misurazione dell’efficienza dell’istruzione elementare maschile nei cantoni, e indirettamente una sorta di vigilanza federale.

Il vero nemico della scuola pubblica era l’assenteismo. Nel Ticino, come ovunque, la scuola pubblica incontrava le maggiori difficoltà, e spesso falliva, proprio nella applicazione dell’obbligo.

L’obbligo scolastico era stato criticato dagli inizi da posizioni contrapposte. Da una parte si rimproverava allo stato di sottrarre ai genitori il diritto di disporre dell’aiuto dei loro figli, trattenendoli a scuola oltre il necessario e disabituandoli così dal lavoro. Dall’altra si afferma che l’obbligo scolastico era una specie di cinica beffa nei confronti dei proletari, che arrischiava di aumentare la loro miseria.

Giuseppe Ferrari, il battagliero pensatore fautore della democrazia sociale, scriveva nella Filosofia della rivoluzione, 185 I: “E proletario ha fame, e voi gli offrite cognizioni inutili? Ha bisogno dei figli, e parlate di obbligarlo a mantenerli alla scuola? Muore di stento, e volete che imiti i ricchi?”

Una decina d’anni prima, un medico filantropo, autore di importanti inchieste sulla miseria delle classi laboriose in Francia, aveva giudicato impossibile pretendere che i figli del povero potessero anteporre alla fabbrica la scuola.

Nel Ticino l’obbligo portato ai quattordici anni compiuti ed estensibile anche oltre quella età, rimase difatti a lungo una pia aspirazione. Nella pratica corrente l’obbligo cessava verso i dodici anni. E del resto le stesse autorità ritenevano che a dodici anni un fanciullo fosse già pronto per il lavoro.

Il regolamento per le scuole elementari del 1866 prevedeva la dispensa anticipata dalla scuola per quegli allievi “che al 12’ o 13’ anno avranno riportato un certificato assolutorio dalla sezione superiore della seconda classe”.

Un decreto del 1873 autorizzava il lavoro infantile nelle fabbriche, sui cantieri e nell’emigrazione, a partire dal dodicesimo anno d’età, legittimando implicitamente le diserzioni precoci dalla scuola. E la legge scolastica del 1879 concedeva, in termini ancor più generici e flessibili, l’abbandono anticipato della scuola a “quei giovinetti o giovinette i cui genitori hanno urgente bisogno del loro aiuto, a condizione che la loro istruzione venga riconosciuta come sufficiente”. La scuola pubblica mancava così uno dei suoi obiettivi principali: non era ancora per tutti, o non era completa per tutti.

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18 febbraio 2020
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