«Pane raffermo», di Piero Bianconi
«Pane raffermo», di Piero Bianconi
Marco Nessi è l’autore di questo servizio di andato in onda il 31 novembre 1983 nel programma televisivo «Il Regionale». Girata a Locarno, è una intervista allo scrittore Piero Bianconi, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro intitolato «Pane raffermo», pubblicato dalle Edizioni del Cantonetto.
Sul numero 110 della rivista «Scuola Ticinese» si leggeva questa recensione di Pierre Codiroli al libro di Piero Bianconi:
Urge, a nostro parere, nello scrittore di Minusio un bisogno primordiale di raccogliere tutto quanto è andato depositando in questa sua lunga fedeltà alla lettera che dura da dieci lustri. Bisogno che presumiamo sia da collegare con l’altro più pulsionale (di lui e della gente di montagna): far sì che nulla vada perso, nulla di consumabile. È l’antico bisogno di sopravvivenza dei contadini, che non trovo quasi più se osservo mio padre, ormai trapiantato in città da cinquant’anni, ma che c’era - stando ai racconti più volte sentiti in casa - nel nonno buon’anima. Urgenza di nulla disperdere, probabilmente simbolizzata nella scrittura dal gesto, appunto, del raccogliere le parole qua o là sparpagliate. Allora lo scrivere può diventare rito propiziatorio o, meglio, esorcizzante, e lo scrittore: sacerdote officiante una liturgia della parola che ad ogni nuova occasione corre però il rischio di perdere l’antica forza (verità) che la sottendeva? Insomma lo scrivere come una sfida?
Ma l’operazione dello scrivere, come ben sappiamo, per Bianconi significa altro e si carica di tensioni prodotte dal piacere-bisogno della composizione (momento particolarmente curato dagli scrittori rondisti: e crediamo basterebbe citare, a mo’ d’esempio, il Cecchi) e dal piacere-bisogno della memoria (del rimembrare): momento ci pare qualificante del breve racconto ad andamento lirico, genere letterario che nella Svizzera italiana ha una sua non irrilevante tradizione - e subito si pensa al Chiesa che con il Bianconi, da questo punto di vista, ha qualche non indifferente affinità).
Livelli che affiorano in quest’ultima raccolta di frammenti già scritti (sempre per un’occasione) e ordinati con meticolosa attenzione dal Bianconi l’organizzazione del libro rispetta lo schema canonico: è aperto da una Praefatio nella quale lo scrittore cerca di spiegare i motivi della sua pubblicazione. A noi, appunto per quel che tentavamo di dire poco fa, paiono un tantino topoi letterari: prima del «silenzio» lasciare nuovi tangibili segni: insomma depositare, prima del «nulla», tracce di intelligenza e memoria, nella speranza che i pezzi (salvo rare eccezioni appartenenti agli ultimi quindici anni di attività) abbiano superato la prova dell’occasionalità (appunto come il pane non più fresco, ma che, se buono, proprio da raffermo permette di meglio farsi apprezzare). Sono, ci pare, ragioni a posteriori, capibili in uno scrittore come il Bianconi in cui vivo e pungente è il reticolo dell’ironia che è, come bene si sa, autoironia e dubbio, in fondo, sulla scrittura e la sua reale efficacia. Se prendiamo, a mo’ d’esempio, uno dei pezzi migliori, sia per quanto riguarda la composizione (l’organizzazione), sia per il gioco della memoria, non casualmente il livello dell’ironia appare con evidenza: si allude a Nelle violate viscere della montagna che, già nel titolo - un settenario sdrucciolo e un quinario con metafora centrale allitterativa- ci mostra l’estrema attenzione del Bianconi per la sua scrittura, memore forse degli insegnamenti mallarmeani? Ecco come suona l’incipit: «Con quelle vaste gabbane gialle, e il casco, e i sesquipedali stivaloni (neri) sulle nostre gracili membra di intellettuali (gracili rispetto a quelle dei minatori)» (p. 94), oppure, poco più avanti: «dico gli ingegneri e gli operai, non noi disutili scribacchini» (p. 96).
Si prenda, per concludere l’argomento, un altro pezzo: Pianura storia e brodetto di pesce (un endecasillabo), ecco nuovamente riaffiorare l’ironia: «ora che lo si vorrebbe rievocare (il gusto) in parole e non si sa da dove cominciare, impresa disperata!» (p. 131) o, poco dopo: «Rendere a parole il colore e il fascino del campanile di Pomposa è difficile: quasi come esprimere per verba il gusto del brodetto di Goro» (p. 133).
Dopo la Praefatio, il libro si compone di sei sezioni (Meditazioni, Malumori, Corippo e malefatte, Divagazioni, Ricuperi, Amici morti).
Alcuni pezzi - a nostro parere - letterariamente riusciti appartengono alla prima e quarta sezione. Qui i livelli, ai quali abbiamo rapidamente accennato, si amalgamano, producendo esiti interessanti. La seconda e terza sezione sono formate da brani più occasionali: polemiche, non sempre· riuscite, verso la grettezza di «certa cultura nostrana» o verso alcuni casi di scempio urbanistico e ambientale.
Chiude il volumetto una breve sezione nella quale il Bianconi ricorda con affetto tre intellettuali «non gracili»: Emilio Maria Beretta, Francesco Chiesa e Pietro Salati.
L’Archivio della memoria di Stabio è nato nel 2010, grazie allo stimolo di un gruppo di appassionati di storia e cultura con lo scopo di raccogliere le testimonianze dei diretti protagonisti della vita quotidiana del paese, prima che si attuasse il turbinio di innovazioni che lo hanno cosὶ profondamente modificato.